Quando ti approcci a Petra, in Giordania, ti accompagna una forte sensazione di già visto. Del resto siamo in uno sei siti archeologici più visitati al mondo: è talmente iconico e talmente fotografato che almeno una volta ti sarà capitato di averlo visto rappresentato.
Di certo, pensi, non potrà sorprendermi. In aggiunta a rendere ancora più turistica l’atmosfera ci sono le bancarelle con i beduini che provano a venderti di tutto mentre le guide ti sussurranno all’orecchio di non comprare nulla: – tutta roba cinese, niente originale qui -.
E poi ci sono quelli che ti invitano a salire a cavallo per raggiungere più in fretta l’imbocco del Siq. Fa tanto caldo e la tentazione c’è. La guida sembra scorgerti negli occhi l’intenzione e ti mette in guardia. Meglio sempre contrattare il prezzo prima, per non avere spiacevoli sorprese dopo.
Proseguiamo a piedi, è meglio, tanto sono solo 800 metri perchè i cavalli nel Siq non entrano.
E infine ci siamo, un cartello indica l’ingresso alla stretta gola che porta alla città nascosta. il Siq è lungo circa un chilometro e seicento metri e si snoda tra le pareti di arenaria rossa. Lungo il cammino impariamo a distinguere le opere ingegneristice dei nabatei, da quelle dei romani. I tratti di strada selciata in pietra sono di origine romana, i canali di adduzione dell’acqua per alimentare la città sono nabatei. L’attraversamento della gola è soprendente, un avvicinamento al tesoro sovrastato da pareti che raggiungono i 200 metri di altezza, dove trovano spazio nicchie destinate ad ospitare sculture in onore delle divinità nabatee, che qui a Petra avevano instaurato la capitale del loro regno.
Quando le pareti si aprono il tesoro è li: El Khasneh, la facciata scavata nella roccia che prelude alla tomba del re nabateo Areta III.
La facciata nasconde una fitta simbolgia del tempo: giorni, mesi, stagioni, rappresentati dai bassorilievi. Alcuni elementi sono crivellati da colpi, inflitti dai beduini per la falsa credenza che vi fosse nascosto un tesoro.
L’area è affollatta: cammelli e beduini, bancarelle e un punto ristoro. Tutti offrono qualcosa, vogliono accompagnarti su per la roccia nel punto dove le fotografie vengono meglio, vogliono farti salire in groppa per continuare l’esplorazione del sito, che è soprendentemente enorme.
A dispetto della facciata più gettonata negli scatti, il sito si estende con altre tombe ed altre edifici, in parte nabatei (quelli scanati) in parte romani (quelli costruiti). Le variazioni di colore dentro alcune grotte sono magnifiche: si passa dal giallo ocra al rosso fuoco, in alcuni punti c’è anche il bianco, effetto dovuto alla diversa concentrazione di ossidi.
Ci concediamo una sosta e scambiamo parole e gesti con un beduino star (ha il suo prfilo Facebook Amyr-Al-Mawsuh), dagli occhi strepitosamente belli, che ama truccare i turisti col suo kajal. E’ simpatico: io e Giulia ci concediamo. Siamo soddisfatte del nostro sguardo enfatizzato dal trucco e ce ne andiamo con la nostra boccetta di pigmenti.
L’area che si apre usciti dalla gola è immensa. Immagino il fiume che scorreva qui un tempo, vegetazione rigogliosa, palazzi sontuosi, gente ovunque: doveva essere maestoso.
Al termine della visita non abbiamo più la sensazione della mancata sopresa, il “già visto” che avevamo supposto è lontano dalla grandiosità del sito. Siamo letterlamente sopraffatti dalla sua bellezza.
Buon viaggio!
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